Parto dal presupposto che nel contesto psicoterapeutico non esistono risposte chiare e univoche a tante domande che spesso vengono poste; la situazione infatti varia spesso a seconda del paziente che si ha davanti, della richiesta che porta rispetto alla terapia e di tanti altri fattori. Cercherò tuttavia di dare un quadro generico rispetto ai quesiti più frequenti.
“Dottoressa, se iniziamo un percorso di terapia insieme, ogni quanto ci vedremo?”
In genere, all’inizio di una psicoterapia consiglio vivamente incontri individuali una volta a settimana, mentre per i percorsi di coppia consiglio una frequenza bisettimanale. Si tratta di un’indicazione terapeutica, non c’è obbligatorietà o rigidità e la frequenza degli incontri può essere modellata in base alle esigenze del paziente.
“Quanto durerà il percorso di psicoterapia?“
Si tratta di una domanda piuttosto complessa, in quanto ognuno ha esigenze e difficoltà diverse e la durata del percorso non può essere predetta anticipatamente. Come indicazione generale posso dire che, per la modalità con cui lavoro, i percorsi hanno tendenzialmente una durata minima di due-tre mesi e una durata massima di tre-quattro anni. Concordo sempre comunque con il paziente gli obiettivi della terapia e gli step necessari per raggiungerli, facendo spesso dei check rispetto alla fase del percorso in cui ci si trova: in questo modo si mantiene il focus sulla direzione verso cui si sta camminando, sulla strada fatta e sulla stima di tempo rispetto a quella da percorrere ancora insieme.
“Dottoressa, mi darà dei compiti da fare?“
In effetti, noi terapeuti cognitivo-comportamentali lavoriamo spesso con i “compiti a casa”. La parola “compiti” di fatto sembra fuorviante, in quanto associata spesso alla scuola o comunque a contesti di performance – tuttavia non ho ancora trovato una parola adatta e quindi uso e continuerò, per ora, ad usare questa. In ogni caso, la risposta è sì: tendo a chiedere spesso ai pazienti che svolgano dei compiti tra una seduta e l’altra: può trattarsi di test a scopo diagnostico (soprattutto in fase iniziale), riflessioni, schede da compilare, esperimenti comportamentali da fare o l’indicazione di annotarsi alcune cose nel corso della settimana. La scelta di assegnare un compito piuttosto che un altro dipende da tante cose, comprese le preferenze del paziente: non chiederei mai a qualcuno di fare qualcosa che ritiene inutile e sgradevole. Credo che l’aspetto dei compiti in terapia sia importante, in quanto il percorso di cambiamento del paziente non avviene nell’ora a settimana in cui ci si vede ma fuori, nella vita di tutti i giorni.
“Parleremo della mia infanzia, della storia della mia vita, del rapporto con mia madre e mio padre?“
La risposta qui è piuttosto semplice: sì, se utile e necessario al fine degli obiettivi che ci si è prefissati insieme; no, se farlo non ha uno scopo.
“Dottoressa, perchè non la trovo su Whats App?”
Semplice, perchè non ho Wapp sul numero di lavoro. Infatti, quando ho iniziato ad esercitare, per lavoro utilizzavo un vecchio Alcatel. Poi mi sono aggiornata e ora utilizzo uno Smartphone, ma essendomi trovata bene nella comunicazione con i pazienti tramite telefonata, sms o e-mail non trovo ragione di cambiare.
“Dottoressa, quanti anni ha? “
So di non dimostrarli e di sembrare più giovane, ma ho 33 anni. E giusto dieci minuti fa mi sono guardata allo specchio e ho trovato il mio terzo capello bianco. Questo non garantisce ovviamente nulla né sulla mia professionalità né sulle mie competenze ma, che ci crediate o no, questa domanda mi viene posta spesso, perciò nel dubbio gioco d’anticipo.
Se avete altri dubbi o domande riguardanti la mia esperienza, il lavoro che potremmo svolgere insieme o la psicoterapia in generale, non esitate a contattarmi!